Gioacchino Rossini

Elisabetta, regina d'Inghilterra

Dramma per musica in due atti

Libretto von Giovanni Federico Schmidt

Personaggi

Elisabetta, Regina d'Inghilterra

Leicester, Generale della armi

Matilde, sua segreta moglie, e

Enrico, fratello di Matilde, figlj di Maria Stuart

Norfolc, grande del Regno

Guglielmo, capitano delle guardie reali

Damigelle del seguito d'Elisabetta

Cavalieri

Nobili Scozzesi, ostaggi d'Elisabetta

Ufficiali del seguito di Leicester

Paggi

Guardie reali

Soldati

Guastatori

La Scena è in Londra.

Atto Primo.

SCENA I.

Sala Regia. Trono.

NORFOLC, GUGLIELMO, e Cavalieri situati in ordine attendendo l'arrivo della Regina. Guardie.

CORO.
Più lieta, piu bella
Apparve l'aurora;
Malefica stella
Del Cielo sgombrò.

Del raggio di pace
Il Sole s'indora;
Di Marte la face
Estinta restò.
NORFOLC.
(Oh voci funeste,
Che aborre quest‘ alma;
La rabbia m'investe:
Più calma non ho.)

Il suono de‘ militari strumenti in distanza, che si avvicina di grado in grado, annunzia Fingresso in città delle armi vittoriose condotte da Leicester.

CORO.
Udite … s'avanza
L'invitto campione,
De‘ cori speranza,
D‘ Elisa sostegno,
Delizio d‘ Albione.
Del regno – splendor.
NORFOLC.
(Che smania! che affanno!
Destino tiranno!
Avvampo di sdegno,
M‘ uccide il dolor.)
GUGLIELMO tirando Norfolc in disparte.
Nel giubilo comun, Signore, tu solo
Parte non prendi in sì felice giorno.
Perche? Rimira intorno:
Vedi qual gioja a ognun siede sul ciglio.
NORFOLC.
(Importuno!) Guglielmo,
S'io godo al comun bene,
Lo sa il ciel, tu lo sai, che appien conosci
Il sensibil mio cor.
GUGLIELMO.
(Cosi potessi
Ignorare qual tu sei!)
NORFOLC.
Ma in veder che a'trofei
Dell'anglico valore
Parte io non ho, mi reca affanno al core.
Nelle anime ben nate
Di generosa invidia
Nasce talor l'affetto. Oh! qual contento
Per Norfolc or saria
Se di Leicester al temuto brando
Questo brando si fosse accompagnato!
Ma prive di tal ben mi volle il fato.
(Dissimular convienne.)
GUGLIELMO.
Osserva; a noi sen viene
Ilare la Regina. A lei ti mostra
Lieto, se il puoi. Vinci te stesso e spera.
Forse un di dalla gloria
Apcrto a te il sentier, potrai del regno …
NORFOLC.
Non più, Guglielmo.
GUGLIELMO.
(Io ti conosco indegno!)

SCENA II.

ELISABETTA con seguito di Damigelle, Paggi e guardie. I precedenti. Tutti s'inchinano.

CORO.
Esulta, Elisa, omai
In giorno sì beato.
Cangiò sembianza il fato:
Tutto cangiò per te.

L'invitto Eroe vedrai
Deporti i lauri al piè.
ELISABETTA.
Quant‘ è grato all‘ alma mia
Il comun dolce contento!
Giunse alfin il bel momento
Che c'invita a respirar.
CORO.
Dopo tante rie vicende,
Real Donna, a pace in seno
Tu ritorni a riposar.
ELISABETTA.
Questo cor ben lo comprende,
Palpitante dal diletto,
(Rivedrò, quel caro oggetto
Che d'amor mi fa brillar.)
CORO.
Possa ognor, felice appieno,
Teco l'Anglia giubilar.
ELISABETTA.
Grandi del regno, é questo
Il più bel giorno di mia vita. Alfine
Coronò la vittoria agli Angli il crine.
Del forte duce, a cui
Deve la potria ogni suo ben, risuona
Ovunque il nome, e tanta fama ei gode,
Che al suo merto è minor qualsiasi lode.
Pur da noi non si lasci
D'onorar la presenza
Di si nobil Campion. Qui lo scortate.
GUGLIELMO.
Ei s'affretta al tuo piè.
ELISABETTA.
(Qual gioja!) Andate.

I grandi vanno sull‘ ingresso a ricevere il vincitore; Norfolc à stento li siegne; Elisabetta assistita da Guglielmo, va sul trono.

SCENA III.

I precedenti, LEICESTER accompagnato da'primieri Uffiziali, e seguito da più nobili Scozzesi, tra i quali MATILDE, sotto spogli virili, ed ENRICO.

CORO.
Vieni, o prode, qui tergi i sudori;
Con gli olivi di pace gli allori
Vieni il crine onorato a fregiar.

Tutto cede al tuo braccio possente;
Per te riede ogni volto ridente:
Per te cessa ogni lungo penar.
LEICESTER.
Alta regina, invano
Lo Scoto altero al nostro ardir si oppose.
Col nome tuo sul labbro
Gli Angli pugnaro, e, al rimbombar delle armi,
Dal vincitor l'udia
Il nemico guerrier mentre peria.
Di rea discordia omai spenta é la face.
Al tuo poter soggiace
Chi sprezzarlo tentò. D'uopo non hai
Più del nostro valore; onde al tuo piede.
Dell comando dell'armi,
Che degnasti affidarmi, eccoti il segno.

Depone su i gradini del trono il bastone del comando.

Esulti Elisa, e seco esulti il regno.
ELISABETTA.
Distinto eroe, quanto per me facesti,
Quanto a pro della patria usò finora
Del tuo gran cor la fede,
D'ogni dono è maggior, d'ogni mercede.
Obliarlo non so. T'appressa. Intanto
Abbiti questo pegno
Della grata alma mia.

Leiccster si prostra; Elisabetta togliendosi dal petto un ordine cavalleresco, ne fregia di sua mano il duce.

LEICESTER.
Oh generosa!
NORFOLC.
(Oh rabbia!)
MATILDE.
(Oh gelosia!)

Al cenno di Leicester si avanzano gli Szozzesi, e si prestano alla regina, presentandola i preziosi tributi che recano sopra de'bacili coperti da un bianco velo.

LEICESTER.
Questi, sovrana eccelsa,
Germi di chiara stirpe illustri ostaggi,
Proni al tuo soglio vedi.
Que'preciosi arredi
Ch'oggi t'invia la sottomessa Scozia. –

Sospende il discorso nel riconoscere tra gli ostaggi la consorte ed il cognato.

(Oh ciel! – che mai vegg'io! –
Stelle – Matilde! – Enrico! –
E un sogno il mio?)
ELISABETTA agli ostaggi.
Sorgete. Entro la reggia
Avrete asilo. All'onorevol grado
De‘ paggi miei v'eleggo.

Scende dal trono.

Londra festeggi in così lieto giorno
Delle nostre armi fortunato evento;
Sia partecipe ognun del mio contento.

Elisabetta nel ritirarsi guarda benignamente Leicester, dandogli la mano da baciare. Norfolc freme; Matilde fa lo stesso; Eurico, che se ne accorge, fa cenno alla sorella d'esser canta. Ognuno ritirasi fuorchè Leicester, il quale va sull'iggresso ed ivi trattiene Matilde, ch'è l'ultima ad entrare, e fa ch'ella retroceda.

SCENA IV.

LEICESTER, MATILDE.

LEICESTER.
Incauta! che festi!
Seguirmi perchè?
Gli effetti son questi
D'amore e di fe?
MATILDE.
La fede, l‘ amore
Guidaro il mio piè;
Di sposa al timore
Rittegno non v‘ è.
LEICESTER.
Ma in tanto periglio –
MATILDE.
Non basta consiglio.
LEICESTER.
Ah tremo per te.
MATILDE.
Sol tremo per te.
A 2.
Che palpito sento!
Che crudo tormento?
Perplesso / Perplessa me stesso / stessa
Non trovo più in me.
LEICESTER.
Sconsigliata! e non sai che del tuo sangue
La nemica maggior qui si trova?
Chi mai ti trasse a questo
Passo orribil, funesto?
MATILDE.
Ah! sposo –
Fosti da me diviso,
Fama suonò che amore,
E l'amor più tenace, Elisabetta
Per Leicester nutria. Qual fosse, oh dio!
Allor l'affanno mio
Chi spiegar mai potrebbe? – Ah vieni, Enrico.

SCENA V.

ENRICO. I precedenti.

LEICESTER.
Tu, mio congiunto e amico,
Di cotanta imprudenza
Potesti mai complice farti?
ENRI.
Ah! taci.
Ella tel dica; usai
Ogni opera, ogni consiglio
Per distorla, ma invan. Vedendo troppo
Ostinato quel cor, volli seguirla,
Sperando in queste mura,
Colla presenza mia, farla sicura.
LEICESTER.
Vana speranza! E non pensate, incauti,
Che di Maria Stuarda
Qui proscritta è la prole?
Ch'Elisabetta vuole
Del vostro sangue il germe appien distrutto?
MATILDE.
Oh dio!
ENRICO.
Fa cor, diletta suora;
L'avvenir men funesto io spero ancora.
LEICESTER.
Separarci convien. Destar sospetto
Il favellar qui a lungo ora potria.
Sieguila, Enrico; ad ambo
La prudenza or sia guida,
E poi di nostra sorte il ciel decida.
(Vadasi in traccia di Norfolc, del caro,
Verace amico in cui pongo ogni speme;
Ei sol può invigorire un cor che geme.)

Parte.

SCENA VI.

ENRICO, MATILDE.

ENRICO.
Andiam. Vuole il destino,
Che teco io resti al fianco di colei,
Che degli affanni nostri
È primiera cagion.
MATILDE.
Questo, o germano,
È il dolor che m'uccide.
ENRICO.
D'uopo abbiam di coraggio.
Forse di speme un raggio il ciel pietoso
Fia che vibri per noi.
MATILDE.
Sperar non oso.

Stento un'interna voce,
Che in lagrimevol suono
Dice che nata io sono
A piangere, a penar.
Ah! se tolto un sol momento
Tanto orrore da me sarà
Palpitar di bel contento
Questo core allor potrà.

Parte.

SCENA VII.

ENRICO.
Infelice! pur troppo
Ha ragion di temer. Funesto nodo
Fu quel che strinse, e più funeste il rende
L'amor d'Elisabetta,
E l'imprudente passo
Che la germana ed io
Commesso abbiam qui raggiungendo il duce –
Ah! pur troppo atra stella a noi riluce.

Parte.

SCENA VIII.

Appartainenti Reali.

NORFOLK, LEICESTER.

NORFOLC.
(Che intesi!) In queste stanze, inosservato,
Puoi, dolze amico, favellar. (Qual gioja!)
Prosiegui.
LEICESTER.
Un dì, dopo ostinata pugna,
Terribile oragan sorge improvvisso.
Da miei prodi diviso,
In umil capanna
M è d'uopo ricovrar; quivi m'accoglie
Vecchio pastor; Matilde,
Che sua figlia credei,
Si offerse agli occhi miei; vederla, amarla
È l‘ opra d'un istante. Al nouvo giorno
In campo io fo ritorno.
Tutto in breve a me cede;
Ma, oh dio! del vincitore
In dolce schiavitù rimane il coro.
NORFOLC.
E come di Matilde
Sposo ti festi?
LEICESTER.
Grato all'amistade
Di quel pastor, m'offersi
Contro all'ostil furor d'essergli schermo.
Sento che illustre Scoto
In lui si nascondeva; allor gli chiedo
La figlia in moglie; il vedo
Al mio discorso impallidir; comprendo
Che grave arcano ei cela; prego, insisto;
Di Matilde e d'Enrico allor mi svela
L'origine real – Puoi figurarti
Qual fu la mia sorpresa. All'amor mio,
Tanto tenace amor quanto funesto,
Pietà s'aggiunse – Io già ti dissi il resto.
NORFOLC.
A grave rischio, amico,
I giorni tuoi, la gloria tua ponesti,
Ma fu colpa d'amore,
E amor fa la tua scusa. (Esulta o core.)
LEICESTER.
Se l'amico il più caro
Compatisce il mio fallo,
Non son tanto infelice, e sperar posso Consiglio, aita.
NORFOLC.
E l'uno e l'altra io voglio
Porre in opera per te. Della regina
La vigil mente a far che sia delusa
Però molt'arte è d'uopo.
Alla sposa, al german t'affretta intanto;
Cauti li rendi. Alquanto
Dammi loco a pensar.
LEICESTER.
Ver'amistade,
Tra gli affanni ch'io provo,
Almen qualche conforto in te ritrovo.

Parte.

SCENA IX.

NORFOLC.
Stolto! T'inganni. Ah! meglio
Saria stato per te chieder aita
Al mar fremente, alle voraci belve,
Alle furie d'averno,
Che non ad un nemico
Qual ti fui, qual ti son –

Vedendo giungere Elisabetta.

M'offre vendetta
La total tua ruina.

SCENA X.

ELISABETTA. NORFOLC

NORFOLC.
Colmo di duol, regina,
D'un cosi lieto dì son io costretto
La gioja a funestarti.
ELISABETTA.
Come!
NORFOLC.
O dio!
Favellar mai poss'io? – No: forza tanta
In me non è.
ELISABETTA.
Spiegati.
NORFOLC.
Orendo arcano,
Misera! udrai – Deh! lascia –
Sì, lasciami tacer.
ELISABETTA.
Parla: l‘ impongo.
NORFOLC.
T'ubbidirò. Leicester –
ELISABETTA.
Che Leicester –
NORFOLC.
Avvinto in nodo conjugal –
ELISABETTA.
Che parli!
NORFOLC.
Il ver.
ELISABETTA.
Possibil mai! –
Ah! t'ingannasti.
NORFOLC.
Ah! no, non m'ingannai.
Di un degli ostaggi sotto finte spoglie
La sua sposa si asconde;
L'accompagna il germano – – Ambo son figli –
ELISABETTA.
Prosiegui – Oimè!
NORFOLC.
Mi manca al dir la voce.
ELISABETTA.
Figli di chi?
NORFOLC.
Ti nuoce
Il mio parlar.
ELISABETTA.
Tutto saper io voglio.
NORFOLC.
Figli a colei, che sì t'offese il soglio.

Elisabetta a queste ultime parole cade sopra una sedia, ed ivi rimanc immobile, e come fuori di se. Norfolc, con volto ipocrito, si avvicina.

NORFOLC.
Perchè mai, destin crudele,
Costringesti il labbro mio! –
Ma fedele a te son io.
Mentre scuso un traditor.
ELISABETTA.
Con qual fulmine improviso
Mi percosse irato il cielo!
Qual s'adensa orrendo velo,
Che mi colma di terror!
NORFOLC.
Deh! rammenta –
ELISABETTA.
Taci oh dio!
NORFOLC.
Pensa al regno –
ELISABETTA.
Oh dio! mi lascia.
NORFOLC.
Sventurata!
ELISABETTA.
Fiera ambascia!
A 2.
Lacerar mi sento il cor.
Per te geme questo
ELISABETTA.
(Misera! a quale stato
Mi riserbò la sorte!
Stato peggior di morte,
Più fiero non si dà.)
NORFOLC.
(Reggimi, in tale stato
Deh! non tradirmi o sorte.
Vada il rivale a morte:
Pago il mio cor sarà.)
NORFOLC.
Regina, omai decidi.
ELISABETTA.
Sì, perirà l'indegno.
NORFOLC.
(Sorte, a'miei voti arridi.)
ELISABETTA.
Sgombri da me pietà.
NORFOLC E ELISABETTA.
Quel alma perfida
Non vada altera;
Del fallo orribile
La pena avrà.
Tra cento spasimi
L'iniquo pera,
A eterno esempio
D'infedeltà.

Partono da opposti lati.

SCENA XI.

GUGLIELMO.
Che sia? Smarrita in volto
La regina incontrai. Ma non è quegli
Il superbo Norfolc? Veloce il passo
Ei di qua move – Forse
Qualche affanno crudel recò costui
D'Elisabetta al cor. Chi sa per prova
Quanta doppiezza cava
Il perfido nel seno – Ma, dolente,
La regina ritorna a questa volta –
Oh ciel! che mai sara?

SCENA XII.

ELISABETTA, GUGLIELMO.

ELISABETTA.
Guglielmo, ascolta
Pronte ad ogni mio cenno, sull'ingresso
Sien le reali guardie. Va – Ma pria
Qui Leicester invia – Trattienti – (Oh affanno!
Dove io mi sia non so.) Di Scozia i paggi
Tutti raduna in questo loco.
GUGLIELMO.
Il cenno
Vado a compir.

Parte.

SCENA XIII.

ELISABETTA.
Che penso,
Desolata Regina? – A che mai serve
Aver doma la Scozia e saldo il trono,
Se un'infelice io sono?
Sconoscente! ei pur vide
L'amor d'Elisabetta.
E in laccio conjugal stringer pur volle
Della maggior nemica sua la figlia! –
Oh delitto! – Ma tremi
L'iniqua c'oppia. Son regina e amante:
Doppia vendetta – Ecco l'indegno –
Oh istante!

SCENA XIV.

LEICESTER da un lato; MATILTE, ENRICO co'giovani Szozzesi dall'altro. ELISABETTA.

Leicester che si sará presentato con premura, nel veder la moglie, si ferma ad un tratto; Matilde ed Enrico vedendo Leicester fanno io stesso; Elisabetta riconosce da'moti e dalla confusione del volto la sua rivale ed il fratello.

LEICESTER.
(Matilde!)
MATILDE.
(Oh cielo!)
ENRICO.
(Oh incontro!)
ELISABETTA.
(È dessa – Oh rabbia!)
T'avanza, o duce – A che t'arresti? Io voglio
Men sommesso vederti.
T'è noto che il primo
De'miei fidi tu sei, che tal ti estimo.
LEICESTER.
Regina – (che dirò?) Regina – (oh dio!)
L'umil tuo servo – a tanta
Magnanima bontà – (Mi perdo -)
MATILDE facendo vedere la propria agitazione.
(Oh pena!)
ENRICO all'orecchio di Matilde.
(Germana, ah! ti raffrena.)
ELISABETTA.
Non prosiegui?

Dopo aver guardato a un tempo Leicester, Matilde ed Enrico.

Eh! lascia omai quell'importun ritegno –
(Geme, trema l'indegno.
Oh piacer di vindetta! -) Ma coraggio
Or ti darà la stessa tua regina.
Vieni prode guerrier.
MATILDE.
Ah!
ELISABETTA al sospiro di Matilde, benchè somesso, si volta a guardarla; poi dice a Leicester.
T'avvicina.
Se mi serbasti il soglio
Al campo dell‘ onor,
Darti mercede io voglio
Degna del tuo valor.

Al cenno d'Elisabetta si avanza una guardia; la regina le pàrla in segreto.

LEICESTER.
Donna real, deh! frena
Si generosi accenti –
LEICESTER. MATILDE. ENRICO.
(Oh dio! resisto appena
A'palpiti frequenti
Del mio dubioso cor.)
ELISABETTA.
(Benchè fra'suoi tormenti,
Avrà vendetta amor.)

Ritorna la guardia, recando un bacile coperto da un drapo.

LEICESTER.
(Di qual mercè favella
Io non comprendo ancor.)
ENRICO E MATILDE.
(La mia perversa stella
Sempre divien peggior.)

Elisabetta che avrà furtivamente osservato i moti di Leicester, di Matilde e d‘ Enrico, ed i loro sguardi d'intelligenza, freme in segreto, si alza, poi, forzando stessa, dice:

ELISABETTA.
Eccoti, eroe magnanimo,
D'un grato core il pegno:
Te riconosca il regno
Per mio consorte e re.

Scuopre il bacile indicato, che contiene lo scettro e la corona. Leicester ed i suoi congiunti rimangono a tal vista oltremodo confusi ed abbatutti. Elisabetta gode del loro tormento.

LEICESTER. MATILDE. ENRICO.
(Qual colpo inaspettato
A noi serbava il fato –
Il gelo della morte
Tutto s‘ aduno in me.)
ELISABETTA.
(Al colpo inaspettato
Che lor serbava il fato
Il gelo della morte
Impallidir li fè.)

Dopo qualche pausa.

Duce in tal guisa accogli
D'una regina il dono?
LEICESTER tremante.
Oh ciel! Deh – scusa – al trono
Vasallo umil non osa –
ELISABETTA.
(Empio!)
ENRICO.
(Ti frena.)
MATILDE.
(Che affanno.)
ELISABETTA.
(Anima rea!)
MATILDE.
(Fier momento!)
LEICESTER. MATILDE. ENRICO. ELISABETTA.
(Spiegare il duol ch'io sento
Possibile non è.)

Dopo breve scena muta, in cni andrà crescendo l'agitazione de‘ due couginnti e d'Enrico, Elisabetta, non potendo più raffrenarsi, proromperà come segue.

ELISABETTA.
Ah! che più tollerar non poss'io
Un vasallo fellon, menzognero.
Or la bendá dileguisi al vero:
Ecco l'empia che infido ti fà.

Nel dire queste ultime parole, corre a Matilde, la prende per un braccio, strascinandola nel mezzo della scena.

LEICESTER.
(Che mai vedo!)
MATILDE.
(Deliro!)
ENRICO.
(Son desto!
LEICESTER. MATILDE. ENRICO.
(Disvelato è l‘ arcano funesto -)
Ah! regina, perdono, pietà.

Cadono in ginocchioni à piedi di Elisabetta.

ELISABETTA.
Guardie, olà!

SCENA XV.

GUGLIELMO, guardie, cavalieri, e i precedenti.

ELISABETTA.
Quegl‘ indegni
Sien serbati al mio giusto furore.
(Sol di rabbia si pasce il mio core:
Sol vendatta conforto gli dà.)
GUGLIELMO. CORO.
Come – il duce! l'eroe vincitore! –
Oh stupor! – Giusto ciel! che sarà?
LEICESTER. MATILDE. ENRICO.
Scherno siam d‘ un perverso destino –
ELISABETTA.
Traditori, fremete a'miei sdegni.
LEICESTER E MATILDE.
Sposa / Sposo –
GUGLIELMO E CORO.
Sposi!
ENRICO.
Germano –

Abbracciandosi.

ELISABETTA.
L'indegni
Sien divelti l'un l'altro dal seno.
LEICESTER. MATILDE. ENRICO.
Ah! regina, perdono, pietà.

Vengono a forza separati.

ELISABETTA.
(Sol si pasce il mio cor di velen:
Sol vendetta conforto gli dà.)
CORO.
Fatal giorno! impensata ruina!
Surse il sole sereno, ridente,
Or declina – turbato, languente,
E di lutto coprendo si va.

Le guardie conducono a forza i congiunti da parti opposte, ed ognuno consusamente ritirasi.

Fine dell‘ Atto Primo.

ATTO SECONDO.

SCENA I.

Appartamenti.

NORFOLC.
Perchè tremi, o mio cor? Forse presago
Sei di qualche sventura, oh di rimorsi
Sarasti mai capace?
A te finor la pace
Invidia tolse: or che soccombe a un tratto
L'idolo del Tamigi;
Or che di corte puoi
Ambire a primi onori, ed or che aperto
Ti è l'adito a quel soglio,
Che forse un dì calcar potresti, e in cui
Da ben lunga stagion nutri speranza,
Mancherai di coraggio e di costanza?

SCENA II.

GUGLIELMO, NORFOLC.

GUGLIELMO.
La regina, signor, la tua richiesta
Ricusa d'appagar.
NORFOLC.
Come! –
GUGLIELMO.
Agitata
Da molesti pensieri,
Sdegna ascoltarti.
NORFOLC.
Sdegna!
GUGLIELMO.
Troppo da Norfolc intesi,
Disse. Da ciò compresi,
Che grati a lei non sono i detti tuoi.
NORFOLC.
(Oimè!)
GUGLIELMO.
Dunque tu puoi
Lungi da queste soglie
Volger per ora il piè.
NORFOLC.
Ma tal divieto –
GUGLIELMO.
Udisti il suo voler.
NORFOLC.
Ma il mio consiglio
Nello stato affannoso in cui si trova –
GUGLIELMO.
Il consiglio talor nuoce, non giova.

Parte.

SCENA III.

NORFOLC.
Temerario! – Si vada. Il tempo e l'arte
Compir potran l'incominciata impresa,
E sulle altrui ruine
Farmi afferar della fortuna il crine.

Parte.

SCENA IV.

ELISABETTA. GUGLIELMO.

ELISABETTA.
Dov'è Matilde?
GUGLIELMO.
Attende
Colà i cenni tuoi.

Acennando uno degli ingresi.

ELISABETTA.
A me si guidi, e poi
Venga Leicester.
GUGLIELMO.
Di pietà potresti -?
Ah! sì, pietade è in te –
ELISABETTA.
Vanne: intendesti.

Guglielmo entra dov'è Matilde.

SCENA V.

ELISABETTA, MATILDE. guardie:

Al cenno d'Elisabetta le guardie si ritirano.

ELISABETTA.
T'inoltra. In me tu vedi
Il tuo giudice, o donna.
MATILDE.
Ho un cor bastante
Per ascoltare, intrepida, il mio fato.
ELISABETTA.
Vuole ragion di stato,
Che tu nemica mia. che il tuo germano,
Che un vasallo sleale,
Sovra palco lerale
D'un odiosa trema
La pena abiate. Ma pietà favella
D'Elisabetta in sen. Scrivi. Rinunzia
Ad ogni dritto tuo
Di Leicester sul cor. Così da morte
Vi potrete sottrar –

Matilde freme.

Cedi alla sorte.
MATILDE.
Ah! più d'ogni supplicio
È questa tua pietade.
ELISABETTA.
Non cimentar la tolleranza mia.
Siedi, scrivi, rinunzia.
MATILDE.
Invan –
ELISABETTA.
Custodi –
MATILDE.
Ah! senti –
ELISABETTA.
Scrivi.
MATILDE.
Sfoga
Sol contro me tutti gli sdegni tuoi;
Ma il consorte, il german, –
ELISABETTA.
Scriver non vuoi?

Pensa che sol per poco
Sospendo l'ira mia;
Quanto più tarda fia,
Più fiera scoppierà.
MATILDE.
Salva il german, lo sposo,
S'è ver che giusto sei;
Poi tronca i giorni miei,
Tel chiedo per pietà.
ELISABETTA.
Resisti ancora?
MATILDE.
Oh dio!
Ti mova il pianto mio –
ELISABETTA.
Non bastan quelle lagrime
A impietosirmi il cor.
MATILDE.
Vorrei stemprarti in lagrime
Mio desolato cor.

Elisabetta con gesto imperioso accenna a Matilde di sedere al tavolino e di serivere. Matilde tremante si accesta; siede, pensa e si alza per retroccdere; Elisabetta è in atto di chiamare le guardie; Matilde la trattiene, e si ponne a scrivere: in questo comparisce sull'ingresso Leicester non veduto dalle due donne.

SCENA VI.

LEICESTER, Guardie. Le precedenti.

Le guardie si aliontanano.

LEICESTER.
(Misero me! – La sposa
Dolente ed affannosa! –
Che mai sarà quel foglio? –
S'accresce il mio timor.)
ELISABETTA.
(Tra varj oposti affetti
Quest‘ alma si divide)
MATILDE.
(Qual è il dolor che uccide,
S'io reggo al mio dolor?)
LEICESTER. ELISABETTA. MATILDE.
(L'avversa mio destino
Sì fiero io non credei.
Quanto erudel tu sei!
Quanto mi costi amor!)

Elisabetta vede Leicester.

ELISABETTA.
Debitor le sei di vita;
Leggi, o duce, e poi l'imita.
Dell‘ error, del tradimento
Pentimento – io voglio in te.
MATILDE.
(Tremo.)

Mentre Leicester va al tavolino e legge.

LEICESTER a Matilde.
Sconsigliata, che facesti!
Ah! comprendo: in lei sapesti

Ad Elisabetta.

Violentar l'amor, la fè.
Ma t'inganni –
MATILDE.
Odi –
ELISABETTA.
Rifletti –
LEICESTER.
A tal prezzo non voglio
Conservar il viver mio;
Serbo un cor che vil non è.

Lacera il foglio.

ELISABETTA.
Empio! trema –
MATILDE.
Oimè! –
LEICESTER.
Costanza.
MATILDE.
È perduta ogno speranza! –
LEICESTER.
Serbo un cor che vil non è.
ELISABETTA.
Ah! fra poco, in faccia a morte,
Cesserà cotanto orgoglio,
Ed allor quell alma forte
Fia costretta a vacillar.
LEICESTER.
Quell‘ ardir che in faccia a morte
Ti disese e eita e soglio,
Serbera quest‘ alma forte.
Non avvezza a vacillar.
MATILDE.
Ah! s'affretti pur la morte,
Affrontarla io deggio e voglio;
Non sarà quest‘ alma forte
Più ridotta a vacillar.

Leicester e Matilde partono, scortati dalle guardie.

SCENA VII.

GUGLIELMO, EMISABETTA.

GUGLIELMO.
Chiede Norfolc a te l'accesso.
ELISABETTA.
Oh indegno! –
Va: digli che al suo labbro
Debbo gli affanni miei; digli che in premio
Di sua finta amistade
Verso d'un infelice. ancorchè infido,
Disgombri al nuovo sol da questo lido.

Parte.

SCENA VIII.

GUGLIELMO.
Oh giusto cielo! alfine
Il ver non trova inciampo
Onde giungere al trono; è alfin palese
Quel doppio cor; d'iniquita ricetto –
Il regio cenno ad eseguir m'affretto.

Parte.

SCENA IX.

Piazza contigua alle Carceri.

CORO DI POPOLO.
Qui soffermiamo il piè –
Il tetro asil quest‘ è,
Dove un barbaro fato
Condannò
Chi la patria solvò
Da fiera sorte.
Miseri voi, chi sa
Se involarsi potrà
Il vostro duce amato
A tant‘ orror?
Forse colpa d'amor
Lo spinge a morte.

Il popolo si avvicina all'ingresso delle carceri

SCENA X.

NORFOLC e i precedenti.

NORFOLC.
(Che intesi! – Oh annunzio! – Questa
È la mercè ch'io merto? – Anche fra lacci
Mi nuocerà costui! – Norfole che pensi?
L'ingiusto esilio sopportar potrai?
Come a tanto rossor resisterai?)
CORO.
Il nostro duce amato!
NORFOLC.
(Duce! – Ah! comprendo appien -)
CORO.
Barbaro fato!
NORFOLC.
(Qui si compiange il mio nemico – Tutto
Congiura à danni miei –
Che risolvo? – Oh vendetta!
Col manto di pietà ti copri. All'arte.)
Amici, io vengo a parte
D'un così giusto affanno.
E sarà ver che il prode
Salvator della patria
Pera cosi? Lo soffrirem?
CORO.
No, mai.
NORFOLC.
Ebben, mi udite. Assai
Può giovarvi Norfolc. Già cade il sole:
Al prigionier men vo. Se non poss'io
Sottrarlo ai ceppi suoi fra brev'istanti,
Del carcere l'accesso
Vi schiuderete, amici,
Colla forza e il valor.
CORO.
Signor, che dici!
Mancar di fede al trono
Saria cotanto ardir.
NORFOLC.
Ah! troppo ignora
Del duce sventurato
Elisabetta il cor; lo crede reo
Di lesa maestà, mentre quel core
Colpevole non è: lo scusa amore.

Deh! troncate i ceppi suoi;
Deh! serbate a Elisa, al regno
Il più grande fra gli eroi,
Il più degno di pietà.
CORO.
Or ci guida. Ogni alma fida
Pronta aita a lui darà.
NORFOLC.
Non ha core chi non sente
La possanza d‘ amistà.
CORO.
Non ha core ecc. ecc.
NORFOLC.
(Vendicar saprò l‘ offesa,
Di furor quest‘ alma accesà
Quell ingrata punirà.)
CORO.
Or ci guida. – Ogni alma fida
Pronta aita a lui darà.

Il popolo parte seguendo Norfolc.

SCENA XI.

Interno d'un ampio carcere, rischiarato in parte da un lampione; scala a sinistra, che conduce ad una chiusa porta nell‘ alto; altra piceola porta murata in fondo, ingresso commune da un lato.

LEICESTER.
Della cieca fortuna un tristo esempio
Lasso in me trovo
In questo giorno il sole.
Testimonio di gloria
Sorgeva a rischiarar la mia vittoria,
Tramonta appena e in lutto
Per me si cangia il tutto.
Ma duopo han di conforto
Dopo un lungo vegliar
Le stanche membra,
A mio malgrado al sonno
Sento che gli occhi miei
Regger non ponno. –

SCENA XII.

NORFOLC, due guastatori. LEICESTER.

NORFOLC.
Amico –
LEICESTER.
Ciel! – ti scosta.
NORFOLC.
Così m'accogli!
LEICESTER.
Pria
Di venire al mio sen, dimmi, non deggio
I lpresente mio stato
Al tratimento tuo?
NORFOLC.
Che parli! Ingrato!
Mi conosci sì poco? Eccoti il ferro.
Vibralo in me, se vuoi; ma l'onor mio
Cosi non oltraggiar.
LEICESTER.
Ma Elisabetta –
NORFOLC.
Scoperse il ver, nè so dir come. A lei
Diressi i preghi miei:
Che non feci e non dissi onde quel cor
Impietosir per te? Vana speranza!
Tuo complice mi crede, e la tiranna
A vergognoso esilio or mi condanna.
LEICESTER.
Che sento! – (E sarà ver?) Tu solo a parte
Fosti del mio segreto –
NORFOLC.
Illustre nodo
Potea restarsi ognor celato? Ah troppo,
Per un vivo trasporto ti rendesti
Imprudente in amor – Ma si tralasci
L'inutil favellar. Voglio salvarti,
Felice io voglio farti,
Ad ogni costo.
LEICESTER.
Come?
NORFOLC.
Odi – Ma pria mira colà. Matilde
E il suo german divjde
Da te quel chiuso varco.
LEICESTER.
Oh ciel!
NORFOLC ai guastatori, che si accingono ad atterrare il muro della piccola porta nel fondo.
Quanto vi dissi,
Si eseguisca.

A Leicester.

Fra poco
Stringerli al sen potrai.
LEICESTER.
Oh generoso! oh degno.
NORFOLC.
Del tradimento mio
Sia questo il segno.
LEICESTER.
Deh scusa i trasporti
D‘ un misero oppresso.
Errai, lo consesso,
Pentito son già.
NORFOLC.
(Costui di vendetta
Mi chiude la via,
Ma vittima sia
Estinto cadrà.)
LEICESTER.
Non parli?
NORFOLC.
Condona l‘ offesa
Quest‘ anima accesa
Di pura amistà.
A 2.
Ritorna al mio seno,
Confortati appieno,
Felice ti / mi renda
La mia / sua fedeltà.
NORFOLC.
Unita alle schiere
La plebbe dolente
Attorno fremente
Scorrendo sen va.
LEICESTER.
Che narri? e pretendi?
NORFOLC.
Troncar tue ritorte,
Suo duce t‘ attende.
LEICESTER.
Che ascolto!
NORFOLC.
La sorte per te cangerà.
LEICESTER.
Non fia: va.
NORFOLC.
Ma vieni.
LEICESTER.
Non voglio.
NORFOLC.
Soccorso a momenti.
LEICESTER.
Ribelle del soglio?
Orrore mi fà.
NORFOLC.
Al fato crudele
Soccombi inselice,
Se troppo fedele
Quest alma sarà.
LEICESTER.
Il fato crudele
Puo farmi infelice
Ma sempre fedele
Quest‘ alma sarà.

SCENA XIII.

ELISABETTA, MATILDE, ENRICO, i precedenti.

I due guastatori, avendo diroccato il muro della porta; si ritirano indove son venuti. Nell'atto che Norfolc vuoi far nuove premure a Leicester si sentono stridere i cardini dell‘ altra porta nella sommità della scala, da cui discende Elisabetta in succinte vesti, preceduta da una guardia che reca una face. Norfolc, scorgendo la regina, timoroso a tal vista, è in atto di partire, ma, cangiando di pensiero, si cela dietro ad un pilastro in corta distanza dell'ingresso aperto poco prima; sul cui limitare si mostrano Enrico e Matilde. L'oscurità del luogo nel fondo non fa distinguerli da Norfolc nè dagli altri. Leicester, maravigliato in veder la sovrano, rimane confuso mentre ella scende. La guardia, dopo aver posato la face, si ritira al cenno d'Elisabetta.

LEICESTER.
Tu, regina! – Deh! come –

Prostrandosi.

ELISABETTA.
Taci.
NORFOLC.
(Io tremo.
Che mai sarà?)
MATILDE sotta voce ad Enrico.
Cielo! ella stessa!
ENRICO come sopra a Matilde.
Non inoltrar.
MATILDE come sopra vedendo Norfolc.
Costui perchè celato?
ENRICO.
Udiam; t'accheta omai.
ELISABETTA giunta al basso.
Misero! ascolta.
Ecco l'ultima volta
Che ti è dato il vedermi. – Ai danni tuoi
Favellaron le leggi, e i grandi a morte
Ti condannaron già. La tua regina
Approva la sentenza:
Elisabetta far non lo potria.
Per quella ignota via

Acennando la scala.

Ella t‘ offre uno scampo; va, t‘ affretta;
La regina or non v‘ è; ma Elisabetta.
LEICESTER.
Oh eccelsa donna! – Amore
Mi fece reo, ma non ribelle al trono.
S'io m'involassi alla mia pena, il mondo
Tale mi crederia. Lascia ch'io pera.
Mostrati generosa
A Enrico, alla mia sposa;
Li salva; altro non bramo.
ELISABETTA.
Un impossibil chiedi.
L'empio Norfolc che ti accusò –
LEICESTER.
Che dici!
Norfolc!
NORFOLC.
(Oh ciel!)
ELISABETTA.
Matilde e il suo germano
Al cospetto de'grandi,
Nomò complici tuoi contro lo stato.
LEICESTER.
Norfolc!
ELISABETTA.
Scellerato.
Tardi il conobbi: ognun tacea. Punirlo
Volli di sua finta amistade, e ognuno
Di qual tempra è quel cor mì fè palese.
NORFOLC.
(Oimè!)
LEICESTER.
Chi mai tanta perfidia intese!
Ah! regina, al riparo. Il traditore
Qui poc'anzi sen venne; a me fingea
Fida amistà; voleva
Farmi capo alla plebe. Ah! pensa –
ELISABETTA.
Oh dio!
NORFOLC.
(Ah! perduto son io.)
LEICESTER.
Deh! corri.
MATILDE ad Enrico, acennando Norfolc.
Mira –
ENRICO vedendolo posar la mano sull'elsa della spada.
Ei stringe il brando.
ELISABETTA dopo aver pensato.
L'empio
Sì preverrò.

In atto di ascendere la scala.

NORFOLC avventandosi colla spada ad Elisabetta.
Ma pria la morte avrai.
ELISABETTA.
Cielo! –
ENRICO. MATILDE.
Fermati! –
NORFOLC.
Oimè! –
LEICESTER.
Mostro! che fai?

Enrico e Matilde disarmano Norfolc; Enrico gli pone al petto la punta della spada, aferrandogli il braccio destro; Matilde gli affera il braccio sinistro; Leicester si para d'innanzi ad Elisabetta.

ELISABETTA.
Olà, Guglielmo!
LEICESTER.
Guardie! –

SCENA XIV.

GUGLIELMO e guardie con faci dalla scala, e i precedenti.

GUGLIELMO.
Mia sovrana –
ENRICO. MATILDE.
Vivi. o regina.
LEICESTER.
Vivi, e vivi al regno.
NORFOLC.
Oh destin!
ENRICO. MATILDE.
Traditor!
LEICESTER.
Barbaro!
ELISABETTA.
Indegno!

Fellon, la pena avrai
Dovuta a tanto eccesso.
Dove si vide mai
Più scellerato cor?

Si aggravi di ritorte:
Vada l‘ iniquo a morte;
Terribil fia lo scempio
D'un empio traditor.
NORFOLC.
Saziati iniqua sorte,
Appaga il tuo furor.

Norfolc è condotto dalle guardic nel sondo del carcere.

MATILDE. ENRICO. LEICESTER. GUGLIELMO.
Deh! calmati.
Respira,
E il ciel pietoso ammira
De'regi disensor.
ELISABETTA.
Bell‘ alme generose,
A questo sen venite.
Vivete, omai gioite,
Siate felici ognor.

Dopo aver abbracciato Matilde ed Enrico, li fa avvicinare a Leicester.

MATILDE. ENRICO. LEICESTER. GUGLIELMO.
Oh grande!

Leicester, Matilde ed Enrico si prostrano.

ELISABETTA.
Sorgete:
Da voi più non bramo –
CORO di dentro.
Leicester!
MATILDE. ENRICO. LEICESTER. GUGLIELMO. ELISABETTA.
Quai grida!
CORO di dentro.
Vederlo vogliamo:
Morir al suo piè,

Si vede spalancare la porta del carcere.

SCENA ULTIMA.

Coro di soldati, popolo e i precedenti.

LEICESTER E GUGLIELMO.
Audaci! rispetto.
Frenate –
ELISABETTA alle guardie che vogliono opporsi alla moltitudine.
Fermate –
Sì tenero affetto
Punibil non è.
CORO prostrandosi.
La regina!
Imploriam pietà, perdono –
ELISABETTA.
Ecco il duce: il rendo a voi,
Rendo al trono il defensore.
CORO.
Viva Elisa! l‘ eroina,
Lo splendor di nostra età!
ELISABETTA.
(Fuggi amor da questo seno,
Non turbar più il viver mio.
Altri affetti non vogl‘ io
Che la gloria e la pietà.)
LEICESTER. MATILDE. ENRICO. GUGLIELMO.
A‘ tuoi voti, alta regina,
Fausto il cielo ognor sarà.
CORO.
Viva Elisa! l'eroina,
Lo splendor di nostra età.

Fine.